Perché cambiando le parole si cambiano le cose

Il mondo della pubblicità, del marketing e della comunicazione è pieno di metafore di guerra.
Il “linguaggio d’agenzia” in Italia deriva direttamente dall’inglese e dall’organizzazione delle grandi aziende anglosassoni del secolo scorso.
Riletto e analizzato in quest’epoca, questo linguaggio rivela tutta la violenza di una logica di stampo coloniale che oggi appare a molti di noi come il più grande ostacolo a una nuova spinta evolutiva dell’umanità.

Target, ad esempio, significa letteralmente “bersaglio”: una persona, un oggetto o un luogo scelto come obiettivo di un attacco.
Le attività di marketing vengono categorizzate in “strategico” e “tattico” esattamente come se, al posto di un cliente, un mercato e un’agenzia, stessimo parlando di generali, guerre e nemici.

Ma il problema dove sta?

Le metafore di guerra sono ormai ovunque: vengono usate per rappresentare attività quotidiane, creano l’immagine delle nostre relazioni, ci spingono a interpretare la vita quotidiana in chiave conflittuale e violenta. E alla fine la guerra sembra qualcosa di normale, quotidiano, accettabile.

Il problema sta nel fatto che queste metafore, sono capaci di plasmare la realtà, una realtà che costruiamo tutti assieme continuando ad accettare di muoverci come in una guerra: un ambiente di assoluta violenza in cui si agisce per la propria sopravvivenza e con lo scopo di sopraffare un nemico.

Per molti di noi questo stile di vita non è né desiderato né desiderabile eppure è la percezione della realtà nella quale siamo precipitati, soprattutto negli ultimi anni.

E rinunciare alle metafore di guerra può cambiare qualcosa?

Se cambiamo prospettiva da una visione competitiva e violenta ad una collaborativa, le relazioni migliorano e si diventa più efficaci. Se il nostro cliente, se i vostri clienti non sono più target (bersagli) ma li vediamo come parte del nostro gruppo di lavoro per raggiungere insieme obiettivi comuni, non solo il lavoro risulta molto più efficace, ma va anche più lontano.

Noi rifiutiamo l’approccio bellico alla comunicazione non solo perché riteniamo sia necessario prendere una posizione ferma e contraria alle guerre e a favore del dialogo, della diplomazia e della difesa dei diritti civili di tutti, ma anche perché sappiamo che usare parole che costruiscono ponti è più efficace.

Può sembrare più difficile, ma noi lo sappiamo fare.

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